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"Gli asini fanno figura" diceva mio padre

Anche i sciecchi fannu fiura! "Gli asini fanno figura" diceva mio padre   ''Gli asini fanno figura” ha quella saggezza popolare che sa essere pungente e ironica allo stesso tempo. È una frase che racchiude un’intera filosofia: l’apparenza può ingannare, e anche chi non ha grandi capacità può sembrare brillante se sa come mettersi in mostra. Un po’ come dire che l’abito, a volte, fa il monaco… anche se sotto c’è un asino ! Questa riflessione mi fa pensare a quanto oggi, tra social media e comunicazione visiva, “fare figura” sia diventato quasi un’arte a sé. Ma mio padre, con quella frase, ci ricorda che la sostanza conta, e che non sempre chi brilla è oro. "Gli asini fanno figura" diceva mio padre. Una frase che mi è rimasta impressa. Un modo semplice e diretto per dire che anche chi non ha grandi capacità può apparire brillante, se sa come mettersi in mostra. A volte basta l’abito giusto, il tono sicuro, o semplicemente il contesto favorevole, oppure le giu...
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Credere senza appartenere

Un pensiero ispirato a Franco Battiato Non sempre la fede ha bisogno di una parrocchia. A volte nasce nel silenzio di una stanza, nella luce che filtra tra le tende, nella musica che vibra come preghiera. Franco Battiato diceva di essere credente, ma non nel modo in cui si intende normalmente. La sua spiritualità era un viaggio, non una destinazione. Credeva nella bellezza che salva, nella liturgia che commuove, nella voce di Teresa d’Avila e nel respiro del Tao. Non cercava Dio nei dogmi, ma nella trasformazione dell’anima. E forse è proprio lì che abita il divino: nella libertà di chi cerca, nella grazia di chi non impone, nella poesia di chi sa ascoltare. Anch’io mi sento vicina a questa visione. Credo, ma non come si intende normalmente. Credo nel mistero, nella compassione, nell’arte che eleva, nella fede che non ha paura di dubitare. Sono anche delusa da molti uomini e donne di Chiesa, che si nascondono dietro quel nome per estorcere denaro, per costruire potere, per manipolare c...

Il ritorno

  “Il ritorno” Elena si voltò verso la roccia. Il pescatore era ancora lì, immobile, con lo sguardo che conteneva un saluto e un arrivederci. Lei alzò la mano, un sorriso appena accennato sulle labbra. Lui ricambiò con un lieve cenno del capo, come a dire: ora sai dove tornare . Il sentiero verso casa era breve, ma ogni passo sembrava più leggero. Il profumo del mare rimaneva sulla pelle, e nella mente risuonava ancora la voce della madre: Sarò sempre con te. Quando aprì la porta, la luce calda della sera entrò insieme a lei. Si lasciò cadere sul divano, circondata da cuscini di mille forme e colori: rotondi come lune, quadrati come finestre, morbidi come nuvole. Si rannicchiò, chiuse gli occhi e lasciò che il sonno la avvolgesse, portandola di nuovo verso la spiaggia dei sogni. “La fune dorata” Nel sogno, Elena si vede dall’alto. È lì, sul divano, avvolta dai cuscini, immobile come una figura dipinta. Accanto a lei, una fune dorata scintilla, viva di una luce propria. La fune sale...

La Spiaggia delle Memorie

 La Conchiglia che Non Respira Il pescatore porse a Elena una conchiglia diversa dalle altre. Era opaca, senza riflessi, e non pulsava come le altre. Sembrava… silenziosa. «Questa non custodisce un ricordo,» disse. «Ma un vuoto.» Elena la prese tra le mani. Era fredda, leggera, e dentro non c’era nulla. Nessun profumo, nessuna emozione. Solo silenzio. «Ogni tanto,» continuò il pescatore, «il mare raccoglie ciò che non è mai stato vissuto. I sogni dimenticati, le parole non dette, gli abbracci mai dati. Questa conchiglia è uno di quei sogni.» Elena lo guardò, colpita. «E cosa si fa con un sogno perduto?» Il pescatore sorrise. «Lo si ascolta. E poi, se si ha il coraggio, lo si vive.» Elena tiene tra le mani una conchiglia grigia, opaca, mentre il pescatore la osserva  con uno sguardo profondo. Il cielo è più velato, come se il mare stesso fosse in ascolto. Attorno a loro, le altre vongole brillano lievemente, ma quella tra le mani di Elena resta immobile, come sospesa nel tempo...

Oggi ricomincio da me

  Giornata da divano: cronaca di una Elena in modalità “non pervenuta” Oggi non ho voglia. Non di cucinare, non di pulire, non di rispondere ai messaggi, non di fingere entusiasmo. Mi sono svegliata con la stessa energia di un telecomando senza pile. Il mondo può aspettare. Io, oggi, no. Mi sono trascinata fino al divano come se fosse una meta sacra. Ho guardato il pavimento sporco, i piatti nel lavandino, i panni da piegare… e ho pensato: “No.” Non un “no” drammatico. Un “no” tranquillo, silenzioso, apatico. Un “no” che non cerca giustificazioni. Mi sento svuotata. Non triste, non arrabbiata. Solo… spenta . Come se qualcuno avesse abbassato il volume della mia voglia di fare. E sai cosa? Forse va bene così. Non siamo macchine. Non dobbiamo essere produttivi ogni giorno. A volte il corpo e la mente chiedono silenzio, lentezza, assenza. E io oggi gliela concedo. Mi chiedo se qualcun altro si sente così. Se c’è chi, come me, oggi ha deciso di non decidere. Di n...

La Spiaggia delle Conchiglie Giganti

 Ogni estate, Elena tornava alla spiaggia segreta dietro il promontorio, dove il vento parlava in sussurri e le onde sembravano custodire antichi segreti. Quella mattina, il mare era calmo, quasi in attesa.  Camminando sulla sabbia umida, Elena notò qualcosa brillare tra le alghe. Si chinò e trovò una vongola enorme, grande quanto la sua mano, con sfumature madreperlacee che cambiavano colore sotto il sole.  Incuriosita, scavò con le dita e ne trovò un’altra, e poi un’altra ancora. Ogni vongola sembrava pulsare di vita, come se contenesse qualcosa di più di semplice carne marina. Quando aprì la prima, non trovò perla né sabbia, ma un minuscolo frammento di memoria: il profumo della torta di mele di sua nonna, il suono delle risate sotto il portico, il calore di un abbraccio dimenticato. Ogni conchiglia racchiudeva un ricordo, non suo, ma di qualcuno che aveva amato quel mare prima di lei. Elena capì che quella spiaggia era un archivio di anime, e che il mare, in silenzio,...

La guerra delle briciole: cronaca di una battaglia casalinga

 Tutto è iniziato con una briciola. Una sola, minuscola, innocente briciola di biscotto caduta sul pavimento. Io non ci ho fatto caso. Le formiche sì. Nel giro di poche ore, la cucina si è trasformata in un’autostrada a sei zampe. Colonne ordinate, disciplina militare, obiettivi chiari: dispensa, piano cottura, e quel misterioso angolo dietro il frigorifero che nemmeno io ho mai esplorato. Parlate, chi vi manda? È stato lo zucchero? O il miele? Io voglio il nome del mandante. Ho provato con la diplomazia: pulizie accurate, barriere di aceto, discorsi motivazionali tipo “questa casa non è un buffet”. Niente da fare. Le formiche hanno riso in faccia al mio detersivo biologico. Poi è arrivato lui: Aiax Expel . Il nome già suonava come un gladiatore. Spruzzato con decisione, ha fatto il suo ingresso trionfale. Le formiche hanno fatto le valigie. Una mi ha lasciato un messaggio scritto con zucchero: “Ci ritireremo… per ora.” La cucina è tornata mia. Io ho vinto. Ma so che torneranno. E ...

Lavastoviglie in sciopero...

  Guanti da cucina, occhiali da sole e un atteggiamento da red carpet… mentre combatto contro i piatti sporchi. “Non volevo farlo, ma lo faccio con stile.” 😊Non per scelta, ma perché la lavastoviglie ha deciso di fare la sindacalista. Ha lasciato i piatti sporchi e un messaggio implicito: “Non è nel mio contratto.” La lavastoviglie ha scioperato, ma io no (Anche se ci sto pensando seriamente.) 🤣. Io, armata di spugna e sarcasmo, ho affrontato la montagna di stoviglie. Risultato: mani distrutte, pazienza evaporata, e un cucchiaino che ancora mi guarda storto. 🤐 “Cronache di una casa vissuta: il giorno in cui la lavastoviglie mi ha tradita” Oggi la mia lavastoviglie ha deciso di scioperare. Senza preavviso, senza una lettera di dimissioni, senza nemmeno un bip di cortesia. Mi sono avvicinata fiduciosa, ho aperto lo sportello… e lì, il dramma: piatti sporchi, bicchieri appannati, posate che sembravano uscite da un picnic nel fango. Ho capito subito che sarebbe stata una giornata d...

Chi è Ely?

Nome: Ely   Luogo: Vive in un piccolo paese tra mare e colline, dove il tempo sembra rallentare.  Carattere: Ely è introspettiva, sensibile, ma con una forza silenziosa che la guida.  Ama camminare nella natura, osservare i dettagli che sfuggono agli altri,  e scrivere pensieri che non sempre ha il coraggio di condividere.  Passioni: Dipingere con colori che raccontano emozioni Cucinare piatti che parlano di casa e di ricordi Dedicarsi al fai da te e agli hobby manuali, trasformando oggetti semplici in piccole magie Sperimentare cose nuove, anche solo per il gusto di mettersi alla prova. Leggere libri che le aprono mondi interiori. Curare il giardino come fosse un’estensione del suo cuore. Ferite: Ha perso qualcuno che amava profondamente,  e da allora cerca di ricucire il mondo con gesti piccoli e gentili.  Sogni: Vorrebbe partire, ma anche restare.  Vorrebbe essere letta, ma teme di essere capita troppo o fraintesa.  Frase chiave:...

Lettera aperta a chi ha dubitato di me (e a chi lo fa ancora)

Cammino.  Non per arrivare da qualche parte, ma per ricordarmi che posso muovermi.  Che posso scegliere la direzione, anche quando tutto intorno sembra volerla decidere per me. Mi avevano detto che non avevo volontà.  Che non avevo capacità.  Che ero troppo fragile, troppo indecisa, troppo lenta.  E per un po’, ci ho creduto.  Ho lasciato che quelle parole si infilassero sottopelle, come spine invisibili.  Mi sono seduta accanto al dubbio, l’ho ascoltato, l’ho quasi chiamato amico. Ma poi, un giorno qualunque, ho alzato lo sguardo.  Ho visto le foglie muoversi al vento, ho sentito il sole sulla fronte,  e ho capito che non serve il permesso di nessuno per essere ciò che sono. Non sono qui per dimostrare nulla.  Non voglio vincere una gara che non ho scelto di correre.  Voglio solo vivere con autenticità, anche quando tremo.  Voglio scegliere, anche quando sbaglio.  Voglio essere, anche quando non capisco chi sono. Questa l...

La stanza delle parole non dette

Ero seduta davanti al computer, le dita ferme sulla tastiera,  lo sguardo perso tra le righe di un documento vuoto.  Cercavo ispirazione, ma quella mattina sembrava che anche le parole  avessero deciso di scioperare. Fuori, il giardino respirava piano.  Dentro, ripensavo a tutto ciò che avevo fatto per arrivare fin lì.  Le notti sui libri, le rinunce, le lacrime nascoste dietro a sorrisi educati.  Una laurea conquistata con fatica, come una vetta raggiunta a mani nude.  Eppure, quella vetta non mi aveva aperto nessuna porta. Qualcuno, tempo fa, avevano detto che non avevo volontà.  Che non avevo talento.  Ma nessuno aveva visto le ore passate a cercare lavoro,  le risposte mai arrivate, i colloqui che finivano con un "le faremo sapere".  Nessuno mi aveva visto lavare pavimenti, servire ai tavoli, piegare vestiti in magazzini freddi.  Sempre pagata poco, a volte per niente.  Mai un contratto.  Mai una sicurezza. Eppure...

Ho voglia di me

Mi restano meno anni da vivere di quelli che ho già vissuto.  E va bene così. Sono arrivata a quell’età in cui non sento più il bisogno di spiegarmi per essere capita.  Se non vado bene per come sono, non è più una questione da risolvere.  Non mi giustifico, non mi adatto.  Mi rispetto. Ho voglia di me.  Di ascoltarmi davvero.  Di rallentare la corsa e assaporare i passi lenti.  Di riempirmi gli occhi di cielo, i polmoni di ossigeno, la pelle di sole. Ho voglia di sorridere, anche dopo gli inverni più freddi.  Di amarmi, nonostante gli occhi stanchi e le rughe che raccontano la mia storia.  Ho bisogno di me.  E stavolta, non mi lascio più indietro.

La rabbia che mi porto dentro: una storia di ferite invisibili

Tutta la rabbia che mi porto dentro non è nata dal nulla.  È il frutto di anni di cattiverie subite,  di ingiustizie che hanno lasciato segni profondi.  Indifferenze familiari che mi hanno fatto sentire invisibile.  Comportamenti meschini, bullismo tra le mura di casa,  violenze psicologiche mascherate da “preoccupazione” o “educazione”. Non è facile parlarne.  Non è facile neanche viverlo, giorno dopo giorno, con il peso  di ciò che è stato e la fatica di ciò che ancora resta da guarire. Ma sto cercando di andare avanti.  Con ogni passo, anche incerto.  Con ogni respiro, anche affannato.  Con ogni lacrima che scende, anche se non vista. Perché la rabbia, se ascoltata, può diventare forza.  Può diventare confine, protezione, riscatto.  Non voglio più nasconderla.  Voglio comprenderla.  Voglio trasformarla in qualcosa che mi appartenga, ma che non mi consumi. Sto imparando a non chiedere scusa per ciò che sento.  ...