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Il ritorno

 “Il ritorno”

Elena si voltò verso la roccia. Il pescatore era ancora lì, immobile, con lo sguardo che conteneva un saluto e un arrivederci. Lei alzò la mano, un sorriso appena accennato sulle labbra. Lui ricambiò con un lieve cenno del capo, come a dire: ora sai dove tornare.


Il sentiero verso casa era breve, ma ogni passo sembrava più leggero. Il profumo del mare rimaneva sulla pelle, e nella mente risuonava ancora la voce della madre: Sarò sempre con te.

Quando aprì la porta, la luce calda della sera entrò insieme a lei. Si lasciò cadere sul divano, circondata da cuscini di mille forme e colori: rotondi come lune, quadrati come finestre, morbidi come nuvole. Si rannicchiò, chiuse gli occhi e lasciò che il sonno la avvolgesse, portandola di nuovo verso la spiaggia dei sogni.




“La fune dorata”

Nel sogno, Elena si vede dall’alto. È lì, sul divano, avvolta dai cuscini, immobile come una figura dipinta. Accanto a lei, una fune dorata scintilla, viva di una luce propria.

La fune sale, lenta e sicura, verso un’apertura comparsa nel soffitto: un varco perfetto, come ritagliato da mani invisibili. Oltre quell’apertura, il cielo. Non un cielo qualunque, ma un blu profondo, punteggiato di stelle che pulsano come cuori lontani.

La fune sembra non avere fine. Ogni fibra intrecciata riflette bagliori caldi, come se custodisse il sole stesso. Elena sente che quella corda non è solo un passaggio: è un invito. Un richiamo silenzioso a salire, a scoprire cosa c’è oltre.

Ma nel sogno, lei resta ferma. Osserva sé stessa dormire, e la fune che attende. E si chiede se, al prossimo sogno, avrà il coraggio di afferrarla.


“La guerriera…”

Elena afferra la fune dorata. Il calore che emana le scorre nelle mani, nei polsi, fino al cuore. Comincia a salire, e ad ogni metro il mondo intorno a lei cambia.

Il soffitto della stanza svanisce, sostituito da un cielo profondo e stellato. L’aria si fa più densa, carica di un’energia antica. E poi, un riflesso: vede sé stessa, ma non più come la donna addormentata sul divano.

Ora indossa un mantello verde scuro che ondeggia come un’onda silenziosa, fermato da una spilla di bronzo intrecciata in nodi celtici. Sotto, una tunica di lana grezza, stretta in vita da una cintura di cuoio. Nella mano sinistra stringe una gemma di ametista, che pulsa di luce viola come se contenesse un cuore vivo. Nella destra, un pugnale lungo, quasi una spada, con la lama lucente e antica, forgiata per proteggere e per guidare.

Ogni passo verso l’alto è un passo verso un’altra sé: più forte, più consapevole, più vicina a un destino che ancora non conosce. E la fune dorata, infinita, sembra sussurrarle che la vetta non è solo un luogo… ma una rivelazione.


“La guerriera celtica!”

La fune vibra sotto le sue mani, come se riconoscesse la sua forza. Ad ogni passo verso l’alto, i suoi abiti cambiano: la tunica di lana si arricchisce di inserti in pelle, le spalle si coprono di morbida pelliccia, un corpetto di cuoio brunito le fascia il busto. I capelli, intrecciati in lunghe trecce, sono adornati da un diadema con un ornamento centrale che cattura la luce dorata della corda.


Sulla schiena, una spada riposa nel fodero, pronta a essere estratta. Nella mano sinistra, l’ametista pulsa come un cuore antico; nella destra, il pugnale scintilla, ma ora sembra quasi un’estensione della sua volontà. Il vento dell’altura le accarezza il viso, portando con sé l’eco di canti lontani, come se un popolo invisibile la stesse attendendo.

Ogni passo la avvicina non solo alla cima, ma a una versione di sé che è sempre stata lì, nascosta sotto strati di vita quotidiana. E la fune dorata, infinita, la conduce verso un destino che comincia appena a intravedere.




“L’imboscata”

Il bosco era silenzioso, troppo silenzioso. Elena avanzava lungo il sentiero fangoso, la mano sinistra stretta attorno all’ametista che pulsava come un cuore vivo. La nebbia si insinuava tra i tronchi, avvolgendo ogni cosa in un velo lattiginoso.

Un fruscio. Poi un altro, alle sue spalle. Dal nulla, tre figure emersero dall’ombra: visi coperti da cappucci logori, occhi avidi che brillavano alla vista della gemma. Uno di loro, il più alto, brandiva una scimitarra scheggiata; un altro teneva una balestra puntata al suo petto; il terzo, con un ghigno sdentato, si leccava le labbra come un lupo affamato.

"Consegnaci la pietra, donna" ringhiò il capo, facendo un passo avanti.  "E forse te ne andrai con la pelle intatta."

Elena non rispose. Il vento le sollevò il mantello, rivelando il fodero della spada e il pugnale alla cintura. Il battito della gemma accelerò, come se percepisse il pericolo.

Un pensiero le attraversò la mente: Non posso lasciarla cadere nelle loro mani. Fece un passo indietro, valutando le distanze, il terreno, le armi. Il bosco trattenne il respiro.

Poi, con un movimento fulmineo, la guerriera afferrò l’elsa della spada.


“Il cuore dell’ametista”

Il primo brigante calò la scimitarra con un colpo potente, ma Elena deviò la lama con un movimento secco, facendo vibrare l’aria. Il secondo, con la balestra, cercò di approfittare della distrazione, ma un bagliore improvviso dall’ametista lo accecò per un istante. Il terzo avanzava alle sue spalle, coltello in pugno, ma Elena ruotò su sé stessa, il mantello che si aprì come un’ala, e la punta del pugnale sfiorò la sua gola.

"Non sapete cosa state cercando di rubare " disse, la voce ferma. "Questa pietra non appartiene a nessuno… e non cadrà nelle vostre mani."

Un lampo viola attraversò la gemma, e per un attimo il bosco sembrò trattenere il respiro. I briganti si scambiarono uno sguardo incerto. Elena fece un passo avanti, e il cerchio si ruppe: uno fuggì tra gli alberi, un altro inciampò nel fango, il terzo arretrò con la scimitarra abbassata.

La battaglia era finita, ma l’ametista pulsava ancora… come se avesse appena iniziato a rivelare il suo potere. 


“Il richiamo nella nebbia”

Il silenzio dopo la fuga dei briganti era irreale. Solo il respiro di Elena, veloce e profondo, e il battito pulsante dell’ametista nella sua mano. Ogni bagliore della pietra sembrava scandire un ritmo antico, come un cuore che non apparteneva a lei.

Un fruscio tra le foglie la fece voltare: non era un animale. Dalla nebbia emerse una figura alta, avvolta in un mantello color cenere. Il volto era nascosto da un cappuccio, ma due occhi chiari, quasi argentei, la fissavano con calma.

" Finalmente…" disse la voce, profonda e ferma. "La Custode ha trovato la Chiave."

Elena strinse l’impugnatura della spada. "Chi sei?"

La figura avanzò di un passo, e la nebbia sembrò aprirsi attorno a lui. " Non sono qui per combattere. Ma se vuoi sopravvivere, devi seguirmi. La pietra ti ha già scelto… e altri la stanno cercando."

Un brivido le percorse la schiena. Dietro di lei, il bosco si fece più scuro, come se un’ombra invisibile stesse calando tra gli alberi. L’ametista brillò più forte, e per un istante Elena vide, riflesso nella sua superficie, un portale di luce sospeso nel vuoto.

Non sapeva se fidarsi di quell’uomo, ma una cosa era certa: restare lì significava essere trovata da chiunque stesse arrivando.

Fece un passo verso di lui. " Mostrami la strada."



 “Oltre il velo”

Il passo dell’uomo era silenzioso, quasi irreale. Elena lo seguiva, attenta a ogni fruscio, mentre la nebbia si faceva più densa e il bosco più cupo. L’ametista, stretta nel palmo, emanava un calore crescente, come se riconoscesse la direzione in cui stavano andando.

"Dove mi stai portando? " chiese lei, senza rallentare. "Non è un luogo… è un passaggio " rispose lui, senza voltarsi.

Tra gli alberi apparve una radura. Al centro, sospeso a mezz’aria, un cerchio di luce viola e argento vorticava lentamente, come acqua mossa da un vento invisibile. Elena sentì il cuore accelerare: era il portale che aveva intravisto nel riflesso della pietra.

Un suono basso e profondo, simile a un ruggito lontano, si levò alle loro spalle. Dall’ombra tra i tronchi, due occhi rossi si accesero, fissi su di lei. La figura incappucciata si voltò di scatto. " Non c’è più tempo. Attraversa!"


Elena fece un passo verso il portale, ma il terreno tremò sotto i suoi piedi. Un’ombra immensa si stava avvicinando, e con ogni battito dell’ametista, la luce del varco diventava più intensa.

Inspirò profondamente, serrò la presa sulla spada… e saltò.



la luce calda del sole che accarezza l’erba, le due lune enormi sospese nel cielo limpido, il lago ametista che riflette ogni dettaglio come uno specchio, e i cervi che si abbeverano con movimenti lenti e naturali. Si percepisce persino la trasparenza dell’acqua, con i ciottoli e le piante sul fondale, e il contrasto tra i toni dorati della luce e il viola freddo della pietra e della luna.


“Il segreto della Luna Ametista”

Elena si inginocchiò sulla riva del lago, lasciando che la luce dorata del sole e quella viola della grande luna si fondessero sull’acqua. Con un gesto lento, ripose la gemma nella piccola borsetta di pelliccia appesa alla cintura: il morbido pelo la avvolse, come a proteggerla, e il bagliore si attenuò fino a diventare un lieve pulsare.

I cervi sollevarono il capo, fissandola per un istante, poi tornarono a bere, come se la sua presenza fosse già stata accettata. Dal bosco, oltre la riva opposta, giunse un suono di campane leggere, portato dal vento. Il misterioso compagno si fermò accanto a lei. " Questo è il Regno di Lytharion " disse, con un tono che mescolava rispetto e nostalgia. " Qui la luna ametista veglia sui suoi figli… e la tua pietra è il suo cuore."

Elena alzò lo sguardo verso il cielo: la grande luna viola sembrava più vicina, e per un attimo ebbe l’impressione che un filo invisibile la collegasse alla borsetta alla sua cintura. Un brivido le percorse la schiena, ma non era paura: era come se il regno stesso la stesse chiamando per nome.


Pergolati di glicini che scendono in cascate profumate, alberi di jacaranda in piena fioritura che tingono l’aria di viola e blu, petali che cadono lenti come neve primaverile.

Elena cammina lungo il sentiero di pietra, la borsetta di pelliccia alla cintura che custodisce l’ametista, la mano che sfiora i fiori mentre la luce dorata filtra tra i rami. Sullo sfondo, le due lune vegliano alte nel cielo, e oltre il parapetto di pietra si intravede la valle che scende verso il lago ametista.

È un luogo che sembra respirare gioia e pace, ma che custodisce anche segreti antichi.


Mentre Elena avanza lungo il sentiero di pietra, lui le cammina accanto, un passo appena dietro, come se volesse proteggerla senza mai ostacolarne la libertà. I raggi dorati del tramonto filtrano tra i rami di jacaranda, illuminando i suoi capelli scuri e lo sguardo intenso che, quando lei non lo vede, si addolcisce in un sentimento che non osa confessare.

Ogni gesto è una dichiarazione silenziosa: la mano che sfiora l’elsa della spada quando un fruscio tra le foglie lo mette in allerta, il mantello che sposta appena per offrirle riparo dal vento, il sorriso appena accennato quando lei si volta a parlargli. Dentro di sé, sa che il suo compito è guidarla e proteggerla… ma il cuore, ostinato, ha già scelto di amarla.

Elena e il suo protettore camminano fianco a fianco nel giardino inondato di luce dorata. I glicini pendono come cascate profumate, i petali di jacaranda creano un tappeto viola sotto i loro passi. Lui, alto e dalle spalle larghe, ha lo sguardo vigile ma velato di dolcezza; ogni tanto si china appena verso di lei, come per assicurarsi che stia bene.


Il vento leggero fece oscillare i grappoli di glicine, spargendo nell’aria un profumo dolce e antico. Elena si fermò un istante, attratta da un petalo di jacaranda caduto sul selciato. La sua superficie lucida rifletteva un frammento di luce dorata… e in quel riflesso lei colse, per un battito di cuore, lo sguardo di lui.

Non era lo sguardo vigile del guerriero, né quello attento della guida. Era qualcosa di più profondo, un calore che le attraversò il petto senza che sapesse dargli un nome. Lui distolse subito gli occhi, come se temesse di aver rivelato troppo.

Il sentiero proseguiva verso il parapetto di pietra, ma per Elena, da quel momento, ogni passo fu accompagnato da una nuova consapevolezza: non era sola nel viaggio… e forse non lo era mai stata.

Il sentiero terminava in un’ampia terrazza di pietra, affacciata su una valle che sembrava sospesa tra sogno e realtà. Oltre il parapetto, il paesaggio si stendeva fino all’orizzonte: colline vellutate di verde, un lago che rifletteva i colori del cielo, e sopra di tutto le due lune; una grande e viola, l’altra più piccola e pallida, che iniziavano a brillare nella luce del crepuscolo.

Elena si fermò, appoggiando le mani alla pietra tiepida. Sentì il respiro di lui avvicinarsi, calmo ma profondo, come se stesse scegliendo con cura ogni parola prima di pronunciarla. " È qui che finisce il sentiero… " disse lui, la voce bassa, quasi un sussurro.

Lei si voltò appena, e per un istante i loro occhi si incontrarono. Non c’era più il silenzio del dovere, ma quello denso di qualcosa che stava nascendo. Un petalo di jacaranda, portato dal vento, si posò tra loro due, e lui, senza pensarci, lo prese e lo lasciò cadere nella sua mano. "Perché? " chiese lei, sorpresa. "Per ricordarti che, ovunque andrai, ci sarà sempre qualcuno pronto a proteggerti."

Il sole scomparve dietro le colline, e il mondo si tinse di viola e oro. Lei abbassò lo sguardo sul petalo, ma il calore che sentiva non veniva dal fiore.


Un silenzio sospeso avvolgeva la terrazza. Le due lune brillavano alte, e il lago sotto di loro rifletteva i colori del tramonto come un mosaico liquido. Poi, all’improvviso, l’aria cambiò. Un brivido percorse la pelle di Elena, e anche lui, accanto a lei, si irrigidì.

Dal cielo, tra le due lune, si aprì una fenditura di luce. Non era un fulmine, né una stella cadente: era un bagliore pulsante, vivo, che sembrava respirare. I petali di jacaranda presero a sollevarsi dal suolo, come attratti da quella luce, e il vento portò con sé un suono lontano, simile a un canto antico.

Lui le sfiorò la mano, stringendola appena. "È un segno… " mormorò, senza distogliere lo sguardo dal cielo. " E non possiamo ignorarlo."

La fenditura si richiuse lentamente, lasciando dietro di sé un’unica scia luminosa che puntava verso le montagne all’orizzonte. Elena sentì il cuore accelerare: qualunque cosa li attendesse laggiù, sapeva che avrebbe cambiato tutto.


Sul parapetto di pietra, avvolti dalla luce dorata e dal bagliore delle due lune, lui la stringe a sé con forza e dolcezza insieme, come se temesse di lasciarla andare. La mano sulla sua schiena, l’altra che le accarezza i capelli, il volto vicino al suo in un gesto che parla più di mille parole.

Il vento solleva i petali di jacaranda attorno a loro, e il fascio di luce misterioso nel cielo sembra quasi benedire quell’abbraccio. È il momento in cui il sentimento nascosto non può più restare nell’ombra.

Il loro abbraccio era ancora caldo, le parole appena pronunciate vibravano nell’aria, quando un’ombra si insinuò nei pensieri di Elena. Non erano soli in quel viaggio: da giorni, nell’oscurità dei boschi e lungo i sentieri nascosti, li seguivano i briganti.

Non cercavano oro né gioielli. La loro brama era più subdola: volevano rubarle i sogni, strapparle il destino che le apparteneva, cancellare la strada che l’avrebbe condotta a lui. Perché sapevano che, se fossero riusciti a separarli, avrebbero spezzato la forza che li univa e che poteva cambiare il corso degli eventi.

Lui lo sapeva. Per questo la stringeva a sé con tanta passione, come a proteggerla non solo dai pericoli visibili, ma anche da quelli che si insinuano nell’anima. " Non ti lascerò mai " le sussurrò, mentre il fascio di luce nel cielo si faceva più intenso. " Finché respiro, nessuno potrà portarti via ciò che sei… e ciò che siamo.

Il vento si alzò, portando con sé un presagio: il tempo della fuga era finito. Ora iniziava la corsa verso il loro destino. 

“L’assalto dei Ladri di Destini”

La luce nel cielo si stava già dissolvendo quando un rumore di passi rapidi e pesanti ruppe la quiete. Dal sentiero alle loro spalle, figure scure emersero dalla penombra: i briganti. Non erano venuti per l’oro, né per la gemma soltanto. Lui lo sapeva, e anche Elena lo intuì dal gelo che le attraversò la schiena: volevano strapparle i sogni, cancellare il filo invisibile che la legava a quell’uomo, rubarle il destino stesso.

"Non permetterò che ti tocchino" disse lui, la voce bassa ma carica di una furia silenziosa.

Il primo brigante si lanciò in avanti, brandendo una lama ricurva. Lui lo intercettò con un colpo secco, la spada che scintillò alla luce delle lune. Elena, con un gesto rapido, aprì la borsetta di pelliccia e sfiorò l’ametista: un bagliore viola esplose tra gli alberi, accecando per un istante gli assalitori.

" Indietro! " gridò, e la sua voce sembrò vibrare nell’aria come un’eco antica.

Ma i briganti non si fermarono. Erano attratti da quella luce come falene, pronti a strapparle non solo la pietra, ma ogni possibilità di vivere la vita che le era destinata. Lui la raggiunse, la strinse a sé con forza, e in quell’abbraccio Elena sentì che nessuna ombra avrebbe potuto separarli.

"Corri verso la luce" le sussurrò. " Io li fermerò."  

 “La luce che resta”

Il clangore delle spade si spense come un’eco lontana. L’ultimo brigante, accecato dal bagliore dell’ametista, lasciò cadere l’arma e fuggì tra gli alberi, inghiottito dall’ombra.

Il silenzio tornò a regnare nella radura, rotto solo dal respiro affannoso di lui e dal battito veloce di Elena. Si guardarono, e in quello sguardo c’era tutto: la paura, il coraggio, e la certezza di aver vinto insieme.

Lui le prese la mano, ancora calda della luce viola che lentamente si spegneva. " È finita " mormorò, con un sorriso che le sciolse ogni timore.

Elena si avvicinò, poggiando la fronte contro la sua. " No… è appena cominciata."

Il sole, ormai alto, filtrava tra le fronde, tingendo di oro i loro volti. La gemma, stretta tra le dita di lei, non brillava più di magia, ma di una luce nuova: quella di un futuro che avrebbero scritto insieme.

E così, mano nella mano, lasciarono la foresta. Dietro di loro, il vento portava via ogni ombra. Davanti, solo un sentiero chiaro, pronto ad accoglierli.


“Dove sfuma il confine”

Si svegliò lentamente, come se il mondo reale fosse un mare calmo dopo una tempesta. La luce del pomeriggio filtrava dalla finestra, dorata e morbida, accarezzandole il viso. Inspirò profondamente, ancora avvolta dal calore del sogno o forse di qualcosa di più.

Aprì gli occhi. Per un istante temette di trovare le mani vuote, ma non era così. Nella destra stringeva due conchiglie, levigate e lucenti, che profumavano di mare lontano. Nella sinistra, un piccolo cristallo di ametista brillava con riflessi viola, come se custodisse ancora un frammento di luce notturna.

Un sorriso le sfiorò le labbra. Forse era stato solo un sogno… eppure, quelle tre cose erano lì, reali, fredde e vive tra le dita. E in quel momento capì che certe avventure non finiscono mai davvero: restano, silenziose, pronte a riaprirsi quando meno te lo aspetti.



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